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Durante il tirocinio formativo al Dipartimento di Psicologia di Torino, ho preso parte al Progetto Europeo “Empowering LGT young people against violence: a P2P model” e ho iniziato a lavorare con il mondo LGBT, prestando particolare attenzione al ruolo che l’omofobia gioca nel rendere le persone omosessuali una pedina sulla scacchiera di un mondo governato dall’eteronormatività.

Il tema “omosessualità” appare tuttora in grado di mobilitare spesso, anche tra gli studiosi che cercano di affrontarlo in modo rigorosamente scientifico, emozioni molto intense e contrastanti: questa credo sia al contempo la forza e la debolezza del concetto di omosessualità. Le terapie riparative sono un esempio lampante del riduzionismo al quale si tende continuamente: è necessario far rientrare in categorie ben precise e comprensibili, ciò che invece per molti comprensibile non è.

Ciò che desidero sottolineare è, invece, che l’orientamento affettivo omosessuale non è una parte malata o una deviazione, non è un gusto o un vizio, non è una scelta o il frutto di un peccato, ma una delle colonne che identificano la persona nella sua unicità. Perciò non è transitoria né sopprimibile, ma può solo essere nascosta o falsificata. Oppure oppressa e ferita, anche dallo stesso soggetto, quando egli condivida la squalifica sociale, colpevolizzandosi e disprezzandosi violentemente, fino all’autodistruzione.
L’obiettivo del lavoro psicologico è quello di fungere da sostegno per la persona, accompagnandola nella fase di scoperta e sostenendo i suoi dubbi e le sue domande. Verranno forniti al Paziente gli strumenti necessari per affrontare il mondo e le difficoltà della vita, per ridurre il proprio livello di stress, per imparare ad accettarsi a discapito degli stereotipi e dei pregiudizi della società.